Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista del Coordinamento Nazionale dei Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 18 - GIUGNO 1996


La montagna e i parchi
Tre "nodi" per la montagna Helmuth Moroder *
 

Qual è il peso dell'inquinamento automobilistico nelle Alpi?
Uno studio fatto dalla Cita ha dimostrato che il 10% dei trasporti è effettivamente rappresentato dal trasporto delle merci in transito, il 70% dal trasporto interno prodotto da chi abita nelle Alpi e un 20% dal traffico turistico. Ovviamente il 70% pesa e va ovviamente ridotto, ma non è facile anche per il tipo di urbanizzazione, sparsa in tanti piccoli paesi non facilmente collegabili con mezzi di trasporto pubblico.
Anche per il traffico turistico la situazione è problematica: molti che in città sono disposti a rinunciare all'auto nella vita quotidiana, per recarsi al lavoro, vedono sempre più l'auto come il mezzo di trasporto per il tempo libero, per la vacanza. Basta vedere anche il design delle auto, le stations, la cura del portabagagli... Molti trovano nella vacanza la vera giustificazione del possesso di un'auto, pensano che in montagna non si inquina nemmeno tanto l'aria. Purtroppo è vero l'opposto: come ho già detto, in inverno, nelle vallate si producono delle piccole camere a gas e moltissimi centri turistici hanno tassi di inquinamento simili alle grandi città. Cortina d'Ampezzo, Madonna di Campiglio, raggiungono tassi altissimi, ma non li misurano e non li dicono: sarebbe controproducente per l'attività turistica.
Allora, prima o poi, anche per le vacanze dovremmo riuscire a fare a meno dell'auto. D'altra pare, in vacanza, si dovrebbe essere anche disposti a raggiungere una località in tre ore invece che in due. Certo che le località turistiche dovrebbero organizzare molto meglio il trasporto pubblico, non solo all'interno delle vallate ma dalle città alle località turistiche. Uno dovrebbe poter partire dalla sua città in treno fino alle stazioni ferroviarie più vicine alla località turistica e da lì usare un mezzo di trasporto pubblico.
Sarà necessario pensare anche a treni charter da affittare dalle ferrovie dello Stato per portare turisti dalle città circostanti verso le stazioni turistiche.
 

Perché è così delicato l'ecosistema della montagna?
Innanzitutto la morfologia è delicata. Abbiamo pendii molto ripidi la cui stabilità è precaria. E' molto delicato, al di sopra del livello del bosco, l'habitat della vegetazione perché estremamente rigido: il periodo vegetativo è molto breve e molto spesso le gelate notturne terminano a giugno per riprendere in settembre. E' un habitat che, una volta manomesso, è impossibile da ripristinare. Per rinverdire una zolla con un'erba autoctona tipica di quella zona ci vorrebbero dei secoli. Questo si vede molto bene dove si spianano certi pendii per realizzare piste sciistiche: bisogna riseminare tutti gli anni, concimando chimicamente. Quell'erba non ha più niente a che fare con il territorio, è destinata a morire se non la si risemina tutti gli anni. Questi problemi sono legati all'innevamento artificiale. Malgrado il grosso consumo energetico, il grande spreco d'acqua, l'alterazione dell'equilibrio ecologico e anche idro-geologico dei versanti, gli impianti di innevamento si moltiplicano. Soprattutto in Italia dove non c'è alcuna legislazione che li regoli: basta avere la concessione del prelievo d'acqua. Certo, esistono studi che cercano di mostrare che non hanno alcun effetto negativo, che, anzi, cresce più erba, altri studi che dicono il contrario. Hanno ragione tutti e due.
I primi hanno ragione se si tratta di un pendio o di un prato particolarmente asciutto: più acqua fa crescere di più, ma cosa? Specie che hanno bisogno d'acqua. Hanno ragione gli altri perché vanno definitivamente perse delle specie, e perdere le specie in alta montagna è una cosa molto delicata e pericolosa.
Una delle cause di tale perdita è che la neve artificiale è molto più pesante di quella naturale. La neve artificiale arriva a pesare da 400 a 500 chili al metro cubo, mentre quella naturale è fra i 100 e i 200. Questo perché il cristallo della neve artificiale, avendo una forma più sferica, chiude meglio gli interstizi fra un cristallo e l'altro, lascia passare poca aria, diminuisce la capacità di isolamento e quindi il freddo raggiunge molto più in fretta il suolo. E' come se il manto venisse schiacciato, compresso: il freddo raggiunge più facilmente il terreno, ghiacciando la superficie del manto erboso. Gli effetti li sentiremo forse solo fra qualche decina d'anni, ma speriamo di non accorgerci allora di aver fatto una immensa stupidaggine. A me, comunque, per essere fermamente contrario, basta pensare al grosso consumo energetico che un impianto di innevamento artificiale comporta. Dipende da dove viene pompata l'acqua, ma un impianto medio, di una decina di ettari, può consumare circa 500 mila kwk in una stagione invernale. Il consumo d'acqua è sui 200 litri al metro quadrato, quindi ne occorrono 20 mila metri cubi per innevare 10 ettari: ciò in certe zone può essere un grosso problema perché nelle Alpi i corsi d'acqua sono in magra proprio nei mesi invernali. Possiamo permettercelo per il tempo libero? Turismo dolce vorrebbe anche dire che si scia se c'è neve e se non c'è si può andare a passeggiare.
 

Il secondo problema, ci dicevi, è quello dell'agricoltura.
L'agricoltura di montagna praticamente ha caratterizzato, formato le Alpi. Nelle Alpi si viveva di agricoltura e basta. I contadini di montagna sono quelli che hanno creato il cosiddetto paesaggio culturale alpino, hanno disboscato in parte per creare prati e campi che garantissero loro un sostentamento. Oggi il contadino di montagna non riesce più a concorrere con le produzioni agricole della pianura: in montagna la produzione pretende molto più lavoro, i campi e i prati rendono molto di meno, ma alla fine il prezzo per unità di prodotto è lo stesso: il litro di latte o il chilo di patate prodotto in montagna e prodotto in Val Padana viene pagato allo stesso modo. Su questo piano è impossibile essere concorrenziali. Questo è un grosso problema di fondo, un problema europeo, mondiale al giomo d'oggi: noi sosteniamo che se non si riesce a qualificare la produzione agricola delle Alpi, l'agricoltura non avrà possibilità di sopravvivere. E qualificare vuol dire riuscire a produrre prodotti di alta qualità tipici del luogo che possano anche essere venduti a prezzi migliori; significa puntare sulla produzione biologica, perché non ha senso voler concimare all'infinito i prati di montagna che più di tanto non rendono; lì infine, nelle località turistiche, significa puntare molto sulla vendita diretta, in collaborazione con le attività gastronomiche.
Sono iniziative vincenti sia per il ristorante che può scrivere sul proprio menù "carne locale, formaggi di produzione locale" - anche se costano un po' di più il cliente è ben disposto perché sa che il prodotto è di lì - sia per i contadini ovviamente, per i quali l'introito potrebbe essere superiore anche del 50% rispetto a quello offerto dalla latteria, dalla grande macelleria.
Dove, invece, non c'è collaborazione con il turismo la situazione senz'altro è più difficile, la bacchetta magica non c'è. Eppure qualcuno ha avuto la fantasia per iniziative abbastanza originali: la produzione di erbe officinali, di formaggi biologici, di carne di pecora. Sono riusciti a crearsi un mercato nelle città, rifornendo ristoranti prestigiosi a Zurigo e a Vienna. Certo, va detto che non tutti potrebbero fare lo stesso: certe iniziative hanno un senso finché non sono troppo diffuse.
 

Ma nei giovani non c'è la tendenza a lasciar perdere?
Ho l'impressione che siamo in una fase in cui di nuovo, da parte dei giovani, stia aumentando l'interesse per queste attività. Purtroppo abbiamo zone già quasi abbandonate e ripopolarne sarà un'impresa difficile se non si trova un gruppo di giovani idealisti, interessati a farle rivivere. Io sostengo che bisogna anche avere il coraggio di dire: "Sì, queste vallate che sono state popolate per molti secoli, sono ormai abbandonate, riforestiamole". Le Alpi come sono adesso sono un prodotto dell'uomo, il paesaggio culturale è un prodotto dell'uomo e se l'uomo non è più interessato bisogna accettare l'abbandono e ridare quel territorio in mano alla natura. Nel farlo bisognerà fare attenzione perché un territorio curato avrà bisogno di essere curato anche nella rinaturazione: ci saranno erosioni, potrà succedere di tutto e a valle potrebbero esserci effetti disastrosi. D'altra parte noi diciamo che il contadino di montagna deve essere riconosciuto nel ruolo di colui che mantiene il territorio, per cui deve anche essere risarcito per questo. Secondo noi lui avrebbe diritto a una qualche sovvenzione, non so se risarcimento sia la parola giusta, per le sue prestazioni ecologiche. Non sarebbe un contributo ma proprio una retribuzione, un riconoscimento per quello che fà. Pensiamo al turismo: se non ci fossero i contadini che mantengono il territorio, il turismo sarebbe impensabile in moltissime zone. Il turismo vive di questo capitale prodotto dai contadini, ed è triste che chi ha creato questo paesaggio attraente per i turisti adesso sia destinato a scomparire a causa del turismo.
 

Veniamo al turismo, che è il terzo problema...
Il turismo è senz'altro una fonte di guadagno fondamentale per le Alpi. In moltissime zone il turismo ha permesso alla gente di rimanere lì, di poter guadagnare, di poter vivere bene: però la situazione è sfuggita di mano quasi ovunque. Le Alpi sono state viste come il territorio gratuito da poter sfruttare, da "riminizzare", e sono state trasformate in grandi territori di puro divertimento.
Nelle Dolomiti adesso abbiamo oltre 400 impianti di risalita con oltre mille piste di discesa che non solo compromettono il paesaggio - questo potrebbe anche essere sopportabile visto che l'occhio si adatta a tutto - ma comportano una grande affluenza di massa e la creazione non solo di tantissime strutture necessarie per accogliere i turisti ma anche di tante infrastrutture, come campi da tennis, piscine coperte, eccetera, che funzionano pochi mesi all'anno, la cui manutenzione costa un sacco di soldi e il cui unico scopo, spesso, è poter comparire sui dépliants turistici.
Ora, negli ultimi anni si è parlato molto di turismo dolce, leggero: parole che hanno bisogno di essere riempite di contenuti chiari. Per me indicano un turismo che sia sostenibile sia per l'ambiente dove si va, ma anche per le persone che vivono nei paesi turistici, perché è vero che il turismo porta ricchezza, ma porta anche molti scombussolamenti. Nelle stagioni turistiche la vita nei paesi cambia radicalmente.
Il primo passo dovrebbe essere quello di mandare in vacanza il turista senza automobile: ci vorrà un po' di tempo ma gradualmente sono convinto che sia possibile. E se uno raggiunge la località di montagna con il mezzo pubblico forse si avvicina già in modo diverso, più lentamente. Sarebbe un buon inizio per comportarsi in maniera più rispettosa quando si è lì. Bisogna riconoscere che ultimamente c'è stato un miglioramento del comportamento del singolo nella natura. Una volta si vedevano tante carte in giro, tanti rifiuti abbandonati; in questi ultimi 10 anni, il costume è migliorato tantissimo e sono convinto che si possa ancora migliorare di molto. Io non amo i divieti; purtroppo, però, molto spesso sono stati necessari per far riflettere la gente. Per esempio a Ortisei hanno vietato due anni fà la raccolta dei funghi: c'era molta gente che veniva in vacanza e andava tutti i giorni a raccogliere funghi. E' una bella cosa, un rilassamento, però nel bosco a fine agosto sembrava ci fosse passata una guerra, tutto il sottobosco era tirato su perché molti usavano il bastone per riuscire a vedere se c'era qualcosa sotto. Al Comune non è rimasto che vietare. Molti che lavorano con il turismo temevano un calo di arrivi, la gente era malcontenta. I turisti chiedevano perché era vietato, per loro non era una decisione logica, e dovevi spiegare che il bosco non poteva essere trattato così. Inaspettatamente c'è stata una grande disponibilità ad accettare il divieto. I turisti hanno cominciato a camminare nei boschi lo stesso, ma sui sentieri e ommai non ci sono più discussioni. Molto spesso bisogna solo dirle le cose, perché non è che sia cattiveria o volontà di distruggere e rovinare, è proprio ignoranza: non si sa che un certo modo di comportarsi può essere rovinoso.
Quindici anni fa è stata vietata la raccolta di tantissime specie di fiori che adesso, anche se non fosse più vietata, nessuno più coglierebbe.
Uno può raccoglierne uno e non succede niente, ma nessuno scende più dalla montagna con il mazzo di fiori: ora abbiamo di nuovo bei prati fioriti che, quando ero piccolo io, non esistevano. Tante cose sono cambiate e io sono abbastanza convinto che bisogna prendersi anche il tempo di parlarne. Gli stessi albergatori dovrebbero riuscire a parlare di più di queste cose con i turisti.



Per gentile concessione della rivista Una città pubblichiamo il testo dell'intervista rilasciata da Helmuth Moroder nel
n. 46 di dicembre.Una città è un rotocalco culturale pubblicato a Forlì ma di diffusione nazionale. Edita dall'omonima cooperativa presieduta da Massimo Tesei, è frutto del lavoro volontario dei soci e collaboratori sparsi un pó in tutta Italia, ma non solo. Esce da cinque anni, formato lenzuolo, foto rigorosamente in blù, è quasi esclusivamente strutturata su interviste. I temi trattati vanno dall'ambientalismo alla filosofia, alla religione, al lavoro.
La rivista, molto apprezzata nel panorama nazionale, si pone come momento di coagulo di tante iniziative underground dando voce ai numerosi operatori che come "minatori estraggono i diamanti fuori dai riflettori della ribalta".
Servizi molto puntuali ed interviste inedite sono apparsi sulla guerra nell'ex-Jugoslavia e sullo scontro in Algeria; ma non mancano reportages sulla bioetica, sull'attualità e sulla storia delle donne più o meno famose alle quali è sempre dedicata l'ultima pagina.
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* Vicepresidente della sezione internazionale della Cipra (Commissione internazionale per la protezione delle Alpi) e presidente della sezione italiana